Sixty and More

Blog dedicato agli over60 e non solo!

In questo libro, “Harlem”, l’autore narra la storia di due adolescenti neri, Pee Wee e Joe, che evadono dallo squallore della loro realtà quotidiana, grazie al gioco del basket, di cui diventeranno due leggende. Fa da sfondo la Harlem di fine anni sessanta, quartiere di New York, dove coloro che ci abitano si sono scritti le proprie regole da soli, spesso in contrasto con la legge. Nonostante le occasioni che la vita offrirà loro per uscire da quel mondo, preferiranno rimanere “dèi dell’asfalto”.

Abbiamo incontrato l’autore Luca Leone. E’ un web designer. Ha un suo blog dove racconta il talento nello sport. Harlem è il suo terzo libro. “Scrivere Harlem è stato un meraviglioso viaggio senza meta tra passione e curiosità. Mi auguro che chi lo leggerà ne apprezzi soprattutto l’atmosfera e la straordinarietà di un’epoca irripetibile”.

Perché hai scritto questo libro?
Per caso sono incappato su un filmato di Youtube intitolato “La più grande partita di basket di tutti i tempi…” per un appassionato come me è stato come il miele per gli orsi. Dopo aver visto il filmato, (che vi invito ad andare a cercare), ho iniziato ad incuriosirmi ai protagonisti di quella partita, Richard Kirckland e Joe Hammond e alle loro storie personali. I due ragazzi sono le star di una squadra amatoriale di Harlem che fanno ammattire i loro avversari, una compagine di giocatori professionisti tra i quali spicca Julius Erving, l’unico ed inimitabile Doctor J. (chi un po’ conosce il basket di sicuro sa di chi parlo). E da lì mi si è aperto un mondo.

Come sai il ns blog è indirizzato principalmente alle donne: perché dovrebbero leggere il tuo libro il cui filo conduttore è il gioco del basket, sport soprattutto maschile?
Harlem non è un libro sul basket
, ci tengo a sottolinearlo. La pallacanestro, come la musica è parte del dna della cultura afroamericana. Io ho raccontato un’amicizia che dura ancora oggi e uno spaccato di una periferia straordinaria, che nonostante le difficoltà notevoli (alla fine degli anni ‘60 Harlem non aveva acqua corrente nei palazzi, non c’erano ambulanze che servissero gli ospedali e non c’era nettezza urbana), è riuscita a produrre cultura che ha raggiunto ogni parte del mondo: pensiamo ad esempio alla musica Motown o ai leggendari pantaloni a zampa di elefante.

Lo sport è da considerarsi un riscatto sociale per coloro che vivono realtà difficili nelle periferie di ogni città?
Direi proprio di sì. I grandi campioni spesso nascono proprio da posti come Harlem. Forse chi vive una realtà difficile è più abituato al sacrificio che è alla base di ogni successo. Il talento da solo non basta, Richard e Joe ne sanno qualcosa. Appena sarà possibile, vorrei fare una serie di presentazioni nelle periferie delle città rivolte ai ragazzi, perché, per quanto ambientato in un’altra epoca, Harlem è un romanzo molto attuale. I ragazzi di oggi hanno gli stessi desideri e le stesse debolezze di quelli di allora e i miei protagonisti potrebbero essere un ottimo esempio di cosa non fare se si ha un talento ed un sogno.

Racconti una storia vera, con personaggi reali. E’ stato difficile trovare la documentazione?
Si è stato uno studio lungo e faticoso. Le storie sul basket di strada, sono raccontate a voce e, come tradizione vuole, vengono spesso gonfiate ad arte da protagonisti e testimoni. Esistono poche fotografie e pochissimi video dell’epoca. Devo dire grazie all’enorme archivio del New York Times e al temuto giornalista Peter Vecsey (che troverete nelle pagine del libro), che mi ha aiutato non poco a immergermi nella politica e nell’economia americana di quegli anni, di cui ero totalmente digiuno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Siamo Silvia (giornalista) e Stefania (divisa tra moda e pubbliche relazioni), ognuna con una vita ricca di esperienze,  densa di avvenimenti particolari, di amore, di amicizia, di divertimento ma anche con qualche cicatrice.
Abbiamo deciso di aprire questo  blog per tutte quelle che come noi, conclusa la fase lavorativa, si ritrovano libere con molta voglia di fare, perché la vita che abbiamo di fronte ci può ancora regalare bei momenti. Ci sentiamo forti, piene di iniziative, voglia di conoscere nuove persone e luoghi, e di aprirci a orizzonti diversi.
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