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“Il silenzio del mondo” di Tommaso Avati

“Il silenzio del mondo” è l’ultimo romanzo di Tommaso Avati. Diviso da sempre  fra letteratura e cinema, ha scritto insieme al padre Pupi Avati il soggetto per il film “Il ragazzo d’oro”, che ha vinto il premio per la miglior sceneggiatura al festival di Montreal.
Noi lo abbiamo incontrato.

Ne “Il silenzio del mondo” si racconta la storia di tre generazioni di donne, tutte e tre non udenti, esattamente come lei. Perchè ha deciso di parlare di questa disabilità al femminile?
Avrei potuto facilmente usare un protagonista maschile e immedesimarmi in lui raccontando una storia che in qualche modo mi somigliasse e così soddisfare una necessità autobiografica e risarcitoria. Se l’avessi fatto però non avrei reso un buon servizio al tema, alla causa. Non avrei scritto insomma un buon romanzo, avrei scritto un racconto ombelicale, autoreferenziale, in cui l’autore si autocommisera mettendo in scena le proprie sciagure. Io non volevo parlare di me, volevo parlare della comunità dei sordi, e fare in modo che con essa si identificassero più persone possibile, anche e soprattutto le persone normali, udenti, perchè il mio, in fin dei conti, non è un romanzo sulla sordità, ma sulla difficoltà e incapacità di comunicare tra tutte le persone.

In realtà è un libro in generale sulla difficoltà di comunicare.
Appunto. E questa incapacità è riscontrabile ovunque, in ogni contesto sociale e familiare. Basta che prestiamo attenzione a quanto la gente non “senta” davvero quel che diciamo durante il giorno, quanto gli altri abbiano bisogno di parlarci sopra, di ascoltare se stessi piuttosto che quel che si dice. Il romanzo parla anche e soprattutto di questo.

Che cosa rivede in lei nei problemi e nei successi di queste donne?
Nulla. Sono tre donne inventate, che hanno storie completamente inventate. Anche il modo di affrontare la disabilità, la sordità, in ognuna di loro è molto diverso dal modo in cui l’ho affrontato io. L’unica forse è Francesca, l’ultima, che ha un atteggiamento estremamente pacificato e conciliante col mondo udente, e che somiglia molto al modo in cui ho cercato di vivere io fino ad oggi.

Lei scrive che “i sordi sono stati ghettizzati, umiliati, non riconosciuti”, eppure appartengono forse a un mondo migliore, dove ad esempio non si può mentire.
Che i sordi siano stati umiliati e ghettizzati lo dice la storia, non io. C’è stato un convegno a Milano, nel 1880, che vedeva riuniti tutti gli educatori per bambini sordi al mondo. Dovevano decidere se continuare a educare questi poveri bambini con la lingua dei segni o con la lingua parlata (che non si capisce come potessero comprenderla). In seguito alla loro votazione (dalla quale furono esclusi gli educatori segnanti…) la lingua dei segni fu letteralmente bandita da tutte le scuole del mondo. Ecco perchè i sordi sono così legati alla loro lingua: hanno tentato troppe volte di portargliela via. Che con la lingua dei segni non si possa mentire, come sostiene una delle protagoniste del libro, non è linguisticamente e scientificamente appurato. E’ però vero che i sordi segnanti, che usano la lingua dei segni, facciano un uso particolare dell’emisfero destro del proprio cervello, a differenza dei normo udenti che usano principalmente il sinistro. L’emisfero destro, oltre a doversi occupare in modo speciale dell’organizzazione spaziale ( i sordi segnanti hanno un senso dell’orientamento formidabile), è dedicato all’interpretazione e comprensione delle emozioni. Per questa ragione è comprensibilmente meno facile per loro mentire, proprio per via di questo filo rosso che collega direttamente e indissolubilmente la loro lingua alle emozioni che provano.

Durante una delle presentazioni del suo libro ha raccontato che sua moglie si è accorta , dopo aver scritto questo testo, che lei non si vergogna più. E’ così?
Sì, ho sempre cercato di apparire per quel che non sono, e cioè una persona normale, un udente. Ora, dopo aver scritto Il Silenzio del Mondo e dopo aver conosciuto la meravigliosa comunità dei sordi  (che vogliono essere chiamati così, e non non-udenti), mi sento un po’ uno di loro. E non me ne vergogno.

Quanto può essere stato utile per i non udenti la stesura di questo libro?
Continuano a ringraziarmi ogni giorno.

 

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